Giardino di primavera – Shibasaki Tomoka

Camminare per le strade del Giappone diventa molto semplice se si apre il nuovo lavoro di Shibasaki Tomoka, che ci porta in una dimensione reale e allo stesso tempo sospesa.

Uno scorcio di vita ci viene offerto e ci permette di comprendere punti di vista e vissuti così lontani da noi, ma allo stesso tempo così vicini, un modo per connetterci con la società attuale, con l’individualismo forzato e con l’estremo bisogno di trovare stabilità, fosse anche attraverso una casa abbandonata.

I piani di lettura di questo libro sono molti anche se quello narrativo è quasi inesistente e ci serve solo come base per portarne in superficie altri molto più profondi.

La scena è ambientata in un quartiere di Tokyo, in un condominio che presto verrà demolito per far posto ad altre strutture e chi ci abita si trova in una sensazione di precarietà che viene amplificata dal mondo circostante attraverso la quantità di cantieri aperti, una continua trasformazione che non permette di mettere radici, che diventa parte della propria quotidianità normalizzando questa sensazione.

Se sul piano sociale di vuol descrivere e raccontare la difficoltà di comunicare tra esseri umani, attraverso la poca confidenza tra inquilini, che riescono conoscersi solo in vista del trasloco forzato su quello psicoanalitico è la rimozione del trauma a farla da padrone, Taro infatti, il personaggio attraverso cui conosciamo tutta la vicenda, ha perso il padre e non ha ancora elaborato questo lutto, lo farà attraverso l’ossessione di una delle sue vicine: la casa azzurra presente nel quartiere e oggetto di un libro fotografico appunto Giardino di primavera da cui il titolo del libro.

In questo scenario buio, continuamente sul punto di una trasformazione mai realizzata, sospeso in una promessa di futuro, la casa azzurra esprime stabilità attraverso le foto scattate dalla coppia che l’ha vissuta una decina di anni prima.

La volontà di cercare una sovrapposizione tra le foto e la realtà si fa metafora di una ricerca del passato nel presente, di una immutabilità impossibile contro tutto quello che la circonda.

Un senso di straniamento si ha per tutto il libro, una sensazione continua di paura e di incapacità di superare di limiti che si sono autoimposti, grazie alla fluidità dello stile che attraverso la scelta delle parole e la quasi totale assenza di dialoghi permetto una totale immersione in personaggi tridimensionali che appaiono davanti ai nostri occhi non solo verosimili, ma umani.

Una piacevole sorpresa come danon mi tempo di capitava di incontrare.

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