La sala d’attesa: Inventing Anna

Inventig Anna è una serie Netflix che mi sento di consigliare a tutti: ben recitata, ben sceneggiata che tiene col fiato sospeso e che è a forte rischio di binge-watching (dopo un bel po' di tempo è successo anche a me, non riuscivo a smettere di guardarlo).
Basato sulla storia vera di Anna Sorokin, ci trasporta in un mondo così reale da sembrare finto, così profondo da apparire superficiale.
Ambientato nella Manhattan di metà anni dieci, New York rimane sullo sfondo lasciando che Anna  ne metta in luce tutta la vuota sfarzosità.
Non si parla solo di una truffa ai danni di ricchi benestanti da parte di una venticinquenne russa  (già questo ce la fa apparire simpatica oltremodo), si parla di identità.
Si parla di discriminazione, si parla di volontà di sfuggire alle proprie origini, negandole, distruggendole, sotterrandole. 
 Echi di Roth risuonano in questa storia, un Coleman Silk, se possibile, ancora più discriminato e con ancora più bisogno di accettazione.
L' accettazione è la chiave di lettura di tutta questa storia, che ripeto, a differenza di La Macchia Umana, è vera.
Anna vuole ricongiungersi con l'idea che ha di sé stessa, idea che per nascita le è negata.
Solo il caso la vuole povera, russa, emarginata e discriminata, non il merito, non il carisma, non la personalità, soprattutto non l'intelligenza.
Tantissimi i piani di lettura che possono essere analizzati, tanti quante le sfaccettature di una donna il cui posto nel mondo è stato usurpato da chi i privilegi li ha per nascita e non per merito.
Pensiamoci quando giudichiamo le persone discriminate, pensiamo che se non capiamo che lo sono, allora siamo noi ad avere un privilegio.



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