Spunti di riflessione: sull’aborto

Sono già state scritte tante cose ed espresse tante opinioni riguardo a questo tema, che ritorna sempre più attuale a causa della scelta della Corte Suprema americana.

Mi sono interrogata per molti giorni sull’opportunità di scrivere qualcosa al riguardo perché è un argomento che mi sta tanto a cuore e sul quale ho riflettuto per quasi tutta la mia vita e ancora continuo a farlo.

L’unica cosa che credo di essere in grado di fare è scrivere del mio personale rapporto con la possibilità di abortire.

C’è stato un tempo in cui ero contraria all’aborto, trovavo assurdo che dei genitori potessero non desiderare un figlio, dei genitori che vedevano quel bambino come un problema, un ostacolo da rimuovere.

C’è stato un tempo in cui credevo che il sesso, forse neppure sapevo si chiamasse sesso, fosse un’azione da compiere per mettere al mondo un bambino, avevo dieci anni e avevo appena saputo (a causa della notizia di una bambina di nove anni che era rimasta incita in seguito ad uno stupro che aveva mosso in me molte domande) che i bambini nascevano attraverso un complicato procedimento che avveniva di notte, al chiuso di una camera e di nascosto.

Nella mia testa quell’atto, molto meccanico e dalla descrizione anche un po’ doloroso, non era altro che un mezzo per raggiungere un fine, cioè quello di mettere al mondo un bambino, alla stregua di accendere il forno per cuocere la pizza: perché ad un certo punto della cottura si sarebbe dovuto spegnere il forno e gettare la pizza?

Con gli anni, crescendo, imparando sulla mia pelle cosa davvero fosse il sesso, come non fosse un mezzo per procreare, ma un modo per provare piacere (sorvolo sul concetto di piacere e colpa, su come il rimanere incinta fosse visto come una colpa di comportamenti moralmente inaccettabili e come abbia complicato tutta la faccenda).

All’età di quattordici anni in qualche modo venni a conoscenza del piacere sessuale, a quindici anni una ragazza che conoscevo rimase incinta e questo mi pose di fronte alla realtà: lo sguardo del farmacista quando andammo a comprare il test, la paura del risultato, la sensazione di un arresto perenne della vita, dei sogni, delle speranze.

Avevamo quindici anni, erano i primi anni novanta, ci si fidava uno dell’altro, ma anche l’altro si era fidato di altri che gli avevano detto che si poteva “stare attenti” che non succedeva nulla se “se si stava attenti”.

Avevamo quindici anni eppure nessuno ci aveva parlato del diritto di provare piacere, di fisiologia, di anatomia, di contraccezione, insomma nessuno al mondo (se non leggende metropolitane trasmesse oralmente tra ragazzini) ci aveva fatto educazione sessuale.

Inutile dire come quell’episodio abbia causato una rivoluzione nella mia mente e nonostante la giovane età iniziai ad informarmi, cercai di capire, scoprii che molte persone che conoscevo avevano interrotto la gravidanza, chi perché aveva già dei figli, chi perché non era il momento giusto, chi invece proprio perché di figli non ne voleva.

Anch’io di figli non ne volevo, non ne ho mai voluti, l’unica cosa certa dalla mia vita era che ero un medico (anche se lo stato ancora non me lo riconosceva io già lo ero) e che non avrei mai voluto figli.

Come conciliare allora il sesso e la gravidanza?

In una comunità in cui ancora se non passavano abbastanza giorni tra una storia e un’altra la tua “reputazione” virava sempre di più verso “ragazza poco seria”, poco importava cosa realmente accadeva nella tua vagina.

Fin dai primi rapporti, che fossero protetti o meno, l’emozione che mi ha accompagnato ogni giorno è stata la paura, la paura che qualcosa fosse andato storto, che nella concitazione dell’atto qualche goccia del malefico liquido si fosse fatta strada, che nella mia colpevole ricerca del piacere avessi perso il controllo, fino a quando il rosso liberatore non andava a macchiare le mie mutandine e per qualche giorno allora la vita tornava serena.

Cosa mi aiutava a vincere quella paura tremenda, forse la più grande che abbia mai provato?

La possibilità di abortire, la possibilità di correggere un errore, uno sbaglio, di invertire l’imbocco di una strada sbagliata.

Alla fine non ho mai avuto una gravidanza, ho avuto tanta fortuna, perché dire che sono sempre stata attenta sarebbe una bugia, sono stata fortunata, ma se non lo fossi stata avrei comunque avuto una via d’uscita, avrei saputo che quella vita fatta di cose che non volevo poteva essere evitata.

Non sono una mamma, non voglio esserlo, distruggerebbe la mia identità perché è un ruolo che non mi appartiene e non mi identifica: l’aborto mi ha permesso di sapere che la mia identità sarebbe stata protetta anche se avessi sbagliato, anche se fossi stata colpevole, ma anche se semplicemente avessi voluto bene al mio corpo permettendogli di provare piacere.

Proprio perché sono stata una bambina di dieci anni contraria all’aborto capisco tutti quelli uomini che parlano di aborto o che si permettono di giudicare e di non ascoltare, all’epoca ero sì una femmina, ma l’aborto per ragioni fisiologiche ancora non era argomento di cui potessi parlare, ma comunque lo facevo.

Quello che a questi uomini, che per definizione non possono comprendere, non possono provare quello che prova una donna, che non possono vivere quello che vive una donna, consiglio di ascoltare, ascoltare e ascoltare quello che una donna ha da dire, empatizzare con lei, credo che sia possibile, se non sentire, almeno capire quanto la possibilità di abortire possa essere l’unico modo per vivere a pieno quello che è un diritto di ogni essere umano: decidere della propria vita.

Io sono una donna privilegiata, bianca e occidentale e eterosessuale, ho l’accesso a tutte le informazioni, ho avuto la fortuna casuale di nascere qui e ora e mai potrò capire cosa sentono tutte le minoranze discriminate, ma posso ascoltarle farmi spiegare quale sia il loro bene, perché solo ed esclusivamente loro lo sanno, io dall’alto della mia esistenza privilegiata non posso.

Posso essere vicino a loro nella loro battaglia, ma mai e poi mai potrò avere l’arroganza di sapere quale sia il loro bene, così nessun uomo potrà mai sapere cosa è meglio per una donna, potrà solo esserle accanto e permetterle di scegliere quello che è meglio per lei.

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