La terapia della settimana: il tumore della mammella

Dopo aver lanciato un sondaggio su Twitter e su tutti i miei canali social è stato deciso di parlare del tumore della mammella.

E’ un argomento che mi sta molto a cuore, per un vissuto personale con molte pazienti, con le quali per un motivo o per un altro ho instaurato un rapporto molto profondo e che mi hanno lasciato diversa da come mi avevamo trovato.

Le donne che scoprono di avere un tumore reagiscono in modi molto diversi, alcune temono anche il dover fare la mammografia per paura del percorso, altre invece nonostante lo stadio della malattia molto avanzato combattono con le unghie e con i denti e non si arrendono e a volte, sempre più spesso, vincono la loro battaglia.

A volte capita di combatterla, quella battaglia, al fianco della paziente e quando la guerra si perde è come perderla insieme, un senso di inutilità e di impotenzati pervade, perché dietro quella malattia c’è una storia e nei giorni, nelle visite, nell’attesa dei risultati impari a conoscere la vita, il temperamento il carattere di quella paziente, che alla fine diventa un’amica.

Sono venuta a contatto con questa malattia prestissimo, non ero ancora laureata, ma frequentavo un ambulatorio di medicina generale e una giovane donna era affetta da una malattia ad uno stadio avanzato, le metastasi avevano già intaccato il cervello e nonostante avesse ancora molta autonomia i momenti di lucidità cominciavano a scomparire.

Prima che questo accadesse, in una visita di routine in ambulatorio, l’ennesima fatta di ripetizioni di ricette, di rassicurazioni, di speranza, mi chiese se mi avrebbe fatto piacere fare colazione con lei una mattina e io le risposi di sì.

Una mattina, insieme al suo picclo bambino, ci trovammo al bar del paese dove viveva, prendemmo una pasta e un cappuccino e lei con gli occhi pieni di lacrime, con il volto segnato dalla chemioterapia mi disse : vuoi essere la mia migliore amica?

Mi scendono ancora le lacrime agli occhi mentre scrivo, il ricordo è ancora così vivo che sembra non siano passati tredici anni; lei non c’è più i suoi figli sono grandi, la sua lapide è sempre ornata di fiori al cimitero e sicuramente mi ha reso una persona migliore.

Il mio lavoro è bello proprio per questo, perché ogni persona ti lascia qualcosa e ogni volta che una paziente riesce a sconfinggere la malattia io ripenso a lei e mi sento di farla vivere ancora un po’.

Noi ci sentiamo domani mattina puntuali come sempre alle nove per parlare della malattia, descriverla, imparare a riconoscerla, ma sopratutto come fare una diagnosi precoce che può salvare la vita.

A domani!

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