La sala d’attesa – Dylan Dog

 

Leggo Dylan Dog da quando ero poco più che una bambina, il primo numero che comprai fu il numero 62 – I vampiri, su consiglio di un amico amante dei fumetti.

All’epoca Dylan Dog era un fenomeno di costume, se ne occupò perfino Umberto Eco e quell’uomo (oggi si direbbe ragazzo, infatti ha trentacinque anni) era un ideale, fuori dagli schemi, in qualche modo la confusione che c’era nelle storie, un misto di sociologia, soprannatuale, investigazione, horror era quello che brulicava nelle nostre menti adolescenziali.

Mi spiego perché lo abbia amato così tanto e mi spiego ancora meglio perché continui ad amarlo!

Sarà che la Londra in cui Dylan vive è sempre uguale a se stessa, anche se da qualche anno il nuovo curatore Roberto Recchioni ha svecchiato la location, sarà perché Dylan è sempre lui, non invecchia, non cambia la sua essenza, sarà perché i suoi ideali sono diventati i miei, fatto stà che non ho mai smesso di leggere le sue storie.

Ci sono stati momenti buoni, alcuni meno buoni (potrei citare delle storie che non valevano davvero il prezzo dell’albo), ma in questi ultimi anni devo dire che si sta facendo un lavoro davvero interessante.

Quello che si percepisce, seppure a piccolissimi passi è un disegno, albo dopo albo si ha la percezione di star camminando in una direzione ben precisa, non, come prima di Recchioni, di star girando intorno; Dylan evolve, rimanendo se stesso,ma affronta tematiche moderne, l’ultimo albo parla delle fake news  e lo fa con lo stesso spirito con cui si è affrontato il tema della vivisezione, del razzismo o della cattiva influenza che i fumetti/viodeogiochi violenti hanno sui ragazzi.

Quello che vi consiglio, però, non è un numero della serie regolare, ma l’ultimo Color Fest (una collana in cui si sperimentano colori, grafiche e avolte sceneggiature)

Lo consiglio perché è un buon compromesso tra il vecchio e il nuovo corso, una storia in cui si ha tensione e a tratti paura grazie alla sceneggiatura di Giovanni Barbieri e in cui le meravigliose matite di Giovanni Frighieri arricchite dai colori di Sergio Algozzino sono un paicere per gli occhi.

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