Du côté des livres: PaStorale Americana Roth

Adesso che la 444 pagina è stata letta mi chiedo, a distanza di ventiquattro ore, come sia stato possibile che non avessi ancora letto questo libro, eppure è del 1997, avevo vent’anni in quell’anno; cosa stavo leggendo di così strabiliante da far andare in secondo piano Pastorale americana?

E gli anni successivi? Dov’era la mia curiosità, la mia intelligenza?

Non riuscivo a capire che quel titolo era fondamentale? Che in qualche modo mi avrebbe aiutata a meglio leggere quello che poi sarebbe capitato nella mia vita?

Forse sono davvero i libri a decidere quando è il momento di essere letti e noi crediamo invece di avere potere decisionale, solo loro che ad un certo punto capiscono di avere una possibilità di cambiarti la vita.

Così è successo a me, la settimana scorsa, Pastorale americana era in lista da più di due mesi, ma altri libri l’avevano barbaramente sorpassato e giunti alla mia coscienza prima; quello che lo ha fatto in modo più doloroso, preponente, devastante è stato La Storia della Morante, ma sarà forse materiale di un’altra riflessione.

L’edizione che mi ha scelta è quella che veniva allegata a Repubblica, la copertina è di un grigio anonimo, non invoglia, non emana quel bisogno di essere letta, non illude con promesse illusorie che in qualche modo verranno disattese: no non lo fa, infatti la sovracopertina è finita sotto la coperta dei gatti posata sul divano.

Così ho iniziato Pastorale Americana, mi ha avvolto in uno scialle di sogno, mi ha portato nell’America del secolo scorso, mi ha sventrato la coscienza ricostruendola più solida.

Subito dopo aver finito il libro ho deciso di noleggaire il film di Ewan Mc Gregor, ma non ha saputo neppure scalfire la grandezza del libro, incredibile come tutto intorno a me fosse tridimensionale mentre leggevo e sia diventato piatto mentre osservavo le scene del film, che avrebbero dovuto rappresentare lo Svedese, Jerry, Nathan, Merry, Dawn, Lou, Sylvia, Shila, ma che non era che pezzi di cartone che si muovevano su un binario.

Sono state scritte migliaia di parole sui personaggi, è stato spiegato il piano narrativo, quello sociale, quello economico, psicologico e anche forse finanziario; difficilmente potrò aggiungere qualcosa di più, che non si possa trovare su un qualunque sito di lettura.

Allora cosa mi trovo a cercare di tramettere con queste mie parole?

L’empatia che ogni personaggio ti obbliga a provare, quel vissuto maniacale di ognuno che continua e continua incessante come gli ingranaggi di una catena di montaggio, quel voler capire, incolpare, spiegare, aggiustare, ricostruire, ridipingere, ridisegnare… tutto fuorché ascoltare, accogliere, cullare il disagio, la sofferenza, la frustrazione di qualcosa che poteva essere e non sarà, che avrebbe dovuto essere e non sarà, di una felicità promessa, di un potere illimitato e aleatorio che non basta se non si evolve, che non basta non si plasma sul tempo, sullo spazio, sull’altro.

Un capolavoro paragonabile solo ai grandi classici del passato, in cui una storia si fa universale, in cui i personaggi divengono paradigmi, in cui quella che viene raccontata è l’umanità e non una storia.

Inutile dire che lo consiglio perché al pari dei gradi classici del passato non può lasciare indifferenti e Roth questo lo sa, sa di scrivere con inchiostro indelebile.

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