Du côté des livres : Il cardellino – Tartt

Il giovane Theo Decker sta visitando una mostra di pittori fiamminghi al Metropolitan Museum di New York quando accade l’inconcepibile: lo scoppio di una bomba, calcinacci, sangue e grida dappertutto, e per terra decine di corpi senza vita, tra cui quello della madre di Theo. Sconvolto e in stato confusionale, Theo si allontana dal luogo dell’attentato senza che i soccorsi e le forze dell’ordine riescano a intercettarlo. E, per timore di finire affidato ai servizi sociali, si nasconde nel suo appartamento insieme al pacchetto che una delle vittime gli ha affidato pochi minuti prima di morire. Il tesoro contenuto all’interno, un piccolo prezioso dipinto raffigurante un cardellino, sarà l’unica costante, il centro di gravità permanente nella vita deragliata di Theo, simbolo di un’innocenza impossibile da riscattare.

Con ancora nella testa la detonazione all’interno del museo impariamo a conoscere il protagonista di quest’avventura Theo; smarrito tra le macerie, inorridito tra i cadaveri e i moribondi, orfano tra le vie del mondo, ancora inconsapevole di questa atroce verità.

In questo affascinante scenario si apre “Il cardellino” e il lettore pieno di curiosità e di interesse si appresta a perdersi nelle innumerevoli pagine che compongono la trama.

Trama che si può sintetizzare in una parola : bidimensionale.

Ci son alcune cose che ho amato profondamente, una delle quali è l’amore che viene trasmesso per le opere pittoriche, ci sono passi in cui il quadro descritto non solo sembra di vederlo, ma lo viviamo, attraverso le emozioni dalla madre di Theo prima di morire schiacciata dalle vigliacche macerie; la penna della Tartt riesce in questo caso e in pochi altri a far diventare tutt’uno con ciò che descrive in una sorta di realtà virtuale che non può non lasciare stupefatti e dà un senso al corpo pulsante del libro: Il cardellino, quadro mai troppo amato e mai dimenticato che si fa totem illusorio di una realtà cristallizzata e immutabile.

L’altro punto emozionante si ha nella descrizione del lavoro dell’antiquario che sarà un personaggio fondamentale nell’economia del romanzo, ma non troppo ben caratterizzato.

Hobie, questo il suo nome, ripara i mobili riuscendo a portarli a una nuova vita, metafora forse, a voler ben cercare, della vita distrutta di Theo che può attraverso mani esperte tornare a esistere sotto una nuova forma. L’amore per il proprio lavoro, la sospensione del tempo sono accattivanti e coinvolgenti e si sente la passione travolgente di quest’uomo per il suo lavoro che trascende la materialità dell’atto per divenire appunto, metafora del continuo mutamento.

Purtroppo le note di merito, per me, finiscono qui, la trama appunto come dicevo, è poco verosimile, troppi eventi, quando ne sarebbe bastato il primo, si susseguono fitti come un film d’azione.

Uno stile inutilmente descrittivo che invece che colorare l’immaginazione la stupra con un freddo realismo, scorrevole e semplice utilizza un lessico alla portata di tutti.

I personaggi anch’essi bidimensionali non riescono a interagire, a vivere, a trasmettere emozioni e finiscono per diventare cartonati obbligati a recitare una parte.

Infine i piani di lettura non si trovano, se si esclude quello narrativo poco altro riusciamo a estrarre, anche cercando, eppure un attentato terroristico avrebbe potuto spalancare scenari infiniti, riflessioni profonde.

Leggendolo ho avvertito uno sforzo enorme della scrittrice di cercare di dare calore ad una mongolfiera che testarda ed ostinata non ha voluto gonfiarsi condannandosi a restare ancorata a terra invece di spiccare il volo nell’azzurro cielo… un po’ proprio come Il cardellino che dà il nome al romanzo.

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